La lirica ha bisogno della follia auto-didatta del web, del bricolage multimediale di Youtube, della viralità contagiosa di Facebook e di Twitter, del coraggio di qualcuno che vinca la schizzinosità “cacacaz…” che pare il protocollo dominante dei fruitori della lirica, e ci restituisca la lirica come genere vivo, dove poter amare, soffrire, piangere e ridere con i nostri eroi, come facevano i nostri vecchi. Impossibile? Mah … intanto venite ad ascoltarvi questo Contro-Concerto di Capodanno ...".
Dunque, cominciamo dal principio.
1) Deh vieni al tempio! (Bellini, I Puritani, 1836).
Intanto, se fossi il Direttore Artistico della Fenice, comincerei con Vincenzo Bellini.
D'accordo, Bellini è praticamente antico come Noè, essendo morto nel 1836. Eppure, sotto la coltre di polvere e di muffa di una vecchia e barbosissima opera come I Puritani (1835), oggetto di culto, ma difficilmente proponibile al pubblico di oggi (per la irrimediabile staticità dell'azione, assenza di atmosfera, di colore etc.), gettate le incrostazioni del vecchiume, c'è una vera perla: Deh Vieni al tempio!
La canta, Elvira, la protagonista, appena impazzita per l'abbandono del suo amato Arturo, che avrebbe dovuto sposarla. E' la grande "scena della pazzia" dell'opera: ed è una perla per l'originalità con cui Bellini rende poeticamente e musicalmente la follia: non come agglomerato di urla e suoni gutturali sconnessi (un pò come Donizetti, nella Lucia di Lammermore), ma come nenia, ninna nanna, che ritorna continuamente su se stessa, uguale. La ripetizione accresce in modo commoventissimo il senso di tragica paralisi psicologica della protagonista, che, uscita di senno, "finge" di trovarsi all'altare e, come una bimba, pare "giocare" a fare la sposa. Bellini ci pare dire (in modo modernissimo, ma realissimo) che con la pazzia si ritorna un pò bambini. ...
Prima di Freud qualcuno aveva intuito la regressio ad uterum, la regressione all'infanzia: il catanese Vincenzo Bellini!
Ascoltatevi questa bellissima esecuzione di Mirella Freni del 1971:
2) Rossini, L'Italiana in Algeri, finale primo atto.
Già che abbiamo parlato di follia in musica (lirica), fatevi anche questa "scena della pazzia", stavolta tutta da ridere e godere, del grande pesarese Gioachino Rossini, di qualche anno più indietro.
Fatevi trascinare da questa pazzesca, geniale, eppure armoniosa cacofonia, disegnata dal grande Pesarese, in prossimità alla prima colossale burla della Protagonista, che metterà comicamente in ginocchio il Gran Sultano di Algeri nella sua protervia maschilista.
Rimpiangete Ionesco? No, questo è molto meglio ....
3) Bizet, I pescatori di perle, Je croise entendre encore.
Siamo nel 1863, ai primi rigurgiti del verismo, quando in Europa ormai è esploso il ciclone wagneriano, e in Italia, progressisti e conservatori in politica si dividono tra seguaci di Wagner (progressisti, la Sinistra Storica, in buona parte) e di Verdi (conservatori). In tutt'altro ambiente musicale, l'ancora sconosciuto George Bizet (il cui talento di genio del teatro sarà riconosciuto postumo con la Carmen solo nel 1875-76) inventava uno stile di canto struggente e fortemente lirico, che segnerà prepotentemente l'evoluzione dell'ultima stagione tardoromantica dell'opera lirica fino a Puccini. Come in questa romanza, icona della nostalgia, dalla dolce e struggente cantabilità, che modella il sogno di un amore perduto, eppure vivissimo.
Ascoltatevi questa mirabile esecuzione di Alfredo Kraus, mirabile per drammaticità e morbidezza dell'emissione.
Attenzione, chè di questa romanza esiste una versione pop, moderna. L'ha realizzata David Gilmour dei Pink Floyd nel 2001. Ascoltatela; e poi, non dite più che musica moderna e musica lirica non vanno d'accordo!
4) Il lamento di Federico, L'Arlesiana (1898) di Francesco Cilea.
Federico ha vent'anni, ama una donna di Arles e la vuole sposare. Non è una donna del suo paese, e la famiglia lo ostacola, ha in mente altri progetti matrimoniali (siamo in campagna, nell'800, quando i matrimoni erano combinati dalle famiglie ...). Il clan familiare inizia a mettere in giro voci sulla presunta non affidabilità della "arlesiana" e giunge financo una lettera in mano a Federico, che proverebbe l'infedeltà dell'amata. Non pago delle presunte "evidenze" che la famiglia gli offre, accecato dalla gelosia, e preda di una forza oscura che ne mina la forza di volontà e la voglia di vivere, Federico, al colmo della disperazione, si suicida, gettandosi dal piano alto della sua fattoria, nell'incredulità sgomenta di amici e familiari.
Senza il contributo dei miei zii paterni, oggi non potrei conoscere e proporvi questa romanza, che in un certo senso è "roba di altri tempi". Ma non è solo la gratitudine familiare che mi spinge a riproporre questa romanza, quanto il dover constatare la straordinaria originalità della musica.
Il tenore, all'opera, è sempre un uomo forte, eroico, virile, con tutti i sentimenti a posto: mai un giovane Holden, un adolescente insicuro, e minato nell'intimo da un male oscuro che oggi conosciamo, ma che, al tempo (1898) era impronunciabile: depressione. Non c'è altro pezzo secondo me che esprima in modo tanto commovente e soprattutto vero la depressione in musica; e il crescendo di quel tumore psicologico che ti mina il desiderio di vivere, corrodendoti intimamente con un oscuro, ambiguo, eppure potente, istinto di morte.
Ascoltatevi questa valentissima esecuzione del giovane Jonas Kaufmann
5) Giacomo Puccini, Madama Butterfly, Coro a bocca chiusa:
A detta di moltissimi critici, il pezzo, tra i più noti e celebrati di Puccini, è anche forse il più sdolcinato.
Drammaturgicamente, però, è molto originale ed efficace.
Butterfly (ex ghiesha) ha sposato Pinkerton, marinaio americano, "stazionato" a Nakasaki e ha avuto un figlio. Finge di non sapere (la sua dignità, il suo orgoglio di donna, moglie e madre glielo impedisce di credere) che il marinaio americano l'ha sposata per burla e senza alcun impegno. Dì lì a poco, infatti, tornerà il suo uomo, ma con la moglie (regolare) sposata in America, e per riprendersi il bimbo.
Butterfly sa che questo è il suo destino, ma l'orgoglio le impedisce di accettarlo. O forse, non è solo l'orgoglio, ma la voglia di rimanere nell'illusione, romantica e dolce, del primo amore, nel non volere accettare la dura realtà: forse, Butterfly, in fondo, dentro di sè, vuole restare bambina e muore (più che per disonore) perchè non accetta il "duro mondo" degli adulti: vuole restare la "bimba dagli occhi pieni di malia" che Pinkerton ha declamato in una celebre e affettata aria del primo atto.
Prima dell'impatto con la "dura realtà", Puccini ha tempo di disegnare per Butterfly un dolce paesaggio sonoro di voci mute, il "coro a bocca chiusa" appunto. Sono fantasmi lontani, fantasmi di tenerezza, eppure presaghi di morte, ma di una morte dolce, che ti prende e ti culla come una ninna nanna: è il limbo esistenziale di Butterfly, il "mondo di infanzia" dalla quale non sa e non vuole uscire.
Il brano, di grande successo popolare, ha conosciuto diverse rielaborazioni contemporanee.
Ne riproponiamo alcune, che il pubblico potrà aver sentito.
James Last: Questa straordinaria esecuzione evoca certe pagine di Vangelis, a testimonianza della grande modernità musicale di Giacomo Puccini.
Filippa Giordano- 2002- Album Il Rosso Amore.
Con Filippa Giordano, siamo nel pieno del genere del cd "Operatic Pop", che cerca la contaminazione tra musica lirica e musica leggera.
Puccini, con il Coro a Bocca chiusa, inventa un uso delle "voci mute" in funzione lirico-amorosa, che diventerà un must e un luogo comune per la musica pop, particolarmente negli anni '70.
Alcuni illustri esempi (tra l'altro contemporanei):
-Un Sospero, Daniel Santacruz Ensemble (1974):
-Tornerò, I Santo California (1975):
- Africa, Gli Albatros (Toto Cutugno):
E PER FINIRE BUON 2015 A TUTTI!!! BRINDIAMO ALL'ANNO NUOVO, COME SOLO ALL'OPERA SI FA....
P.S. IL PUBBLICO FEMMINILE POTRA' FARSI L'OCCHIO CON ... ROBERTO BOLLE ...