venerdì 2 gennaio 2015

CONTRO-CONCERTO DI CAPODANNO 2015

Diciamo basta al compassato snobismo, magari dotto, ma autoreferenziale dei melomani!
La lirica ha bisogno della follia auto-didatta del web, del bricolage multimediale di Youtube, della viralità contagiosa di Facebook e di Twitter, del coraggio di qualcuno che vinca la schizzinosità “cacacaz…” che pare il protocollo dominante dei fruitori della lirica, e ci restituisca la lirica come genere vivo, dove poter amare, soffrire, piangere e ridere con i nostri eroi, come facevano i nostri vecchi. Impossibile? Mah … intanto venite ad ascoltarvi questo Contro-Concerto di Capodanno ...".

Dunque, cominciamo dal principio.

1) Deh vieni al tempio! (Bellini, I Puritani, 1836).
Intanto, se fossi il Direttore Artistico della Fenice, comincerei con Vincenzo Bellini.
D'accordo, Bellini è praticamente antico come Noè, essendo morto nel 1836. Eppure, sotto la coltre di polvere e di muffa di una vecchia e barbosissima opera come I Puritani (1835), oggetto di culto, ma difficilmente proponibile al pubblico di oggi (per la irrimediabile staticità dell'azione, assenza di atmosfera, di colore etc.), gettate le incrostazioni del vecchiume, c'è una vera perla: Deh Vieni al tempio!
La canta, Elvira, la protagonista, appena impazzita per l'abbandono del suo amato Arturo, che avrebbe dovuto sposarla. E' la grande "scena della pazzia" dell'opera: ed è una perla per l'originalità con cui Bellini rende poeticamente e musicalmente la follia: non come agglomerato di urla e suoni gutturali sconnessi (un pò come Donizetti, nella Lucia di Lammermore), ma come nenia, ninna nanna, che ritorna continuamente su se stessa, uguale. La ripetizione accresce in modo commoventissimo il senso di tragica paralisi psicologica della protagonista, che, uscita di senno, "finge" di trovarsi all'altare e, come una bimba, pare "giocare" a fare la sposa. Bellini ci pare dire (in modo modernissimo, ma realissimo) che con la pazzia si ritorna un pò bambini. ...
Prima di Freud qualcuno aveva intuito la regressio ad uterum, la regressione all'infanzia: il catanese Vincenzo Bellini!
Ascoltatevi questa bellissima esecuzione di Mirella Freni del 1971:



2) Rossini, L'Italiana in Algeri, finale primo atto.
Già che abbiamo parlato di follia in musica (lirica), fatevi anche questa "scena della pazzia", stavolta tutta da ridere e godere, del grande pesarese Gioachino Rossini, di qualche anno più indietro.
Fatevi trascinare da questa pazzesca, geniale, eppure armoniosa cacofonia, disegnata dal grande Pesarese, in prossimità alla prima colossale burla della Protagonista, che metterà comicamente in ginocchio il Gran Sultano di Algeri nella sua protervia maschilista.
Rimpiangete Ionesco? No, questo è molto meglio ....



3) Bizet, I pescatori di perle, Je croise entendre encore.
Siamo nel 1863, ai primi rigurgiti del verismo, quando in Europa ormai è esploso il ciclone wagneriano, e in Italia, progressisti e conservatori in politica si dividono tra seguaci di Wagner (progressisti, la Sinistra Storica, in buona parte) e di Verdi (conservatori). In tutt'altro ambiente musicale, l'ancora sconosciuto George Bizet (il cui talento di genio del teatro sarà riconosciuto postumo con la Carmen solo nel 1875-76) inventava uno stile di canto struggente e fortemente lirico, che segnerà prepotentemente l'evoluzione dell'ultima stagione tardoromantica dell'opera lirica fino a Puccini. Come in questa romanza, icona della nostalgia, dalla dolce e struggente cantabilità, che modella il sogno di un amore perduto, eppure vivissimo.
Ascoltatevi questa mirabile esecuzione di Alfredo Kraus, mirabile per drammaticità e morbidezza dell'emissione.



Attenzione, chè di questa romanza esiste una versione pop, moderna. L'ha realizzata David Gilmour dei Pink Floyd nel 2001. Ascoltatela; e poi, non dite più che musica moderna e musica lirica non vanno d'accordo!


4) Il lamento di Federico, L'Arlesiana (1898) di Francesco Cilea.
Federico ha vent'anni, ama una donna di Arles e la vuole sposare. Non è una donna del suo paese, e la famiglia lo ostacola, ha in mente altri progetti matrimoniali (siamo in campagna, nell'800, quando i matrimoni erano combinati dalle famiglie ...). Il clan familiare inizia a  mettere in giro voci sulla presunta non affidabilità della "arlesiana" e giunge financo una lettera in mano a Federico, che proverebbe l'infedeltà dell'amata. Non pago delle presunte "evidenze" che la famiglia gli offre, accecato dalla gelosia, e preda di una forza oscura che ne mina la forza di volontà e la voglia di vivere, Federico, al colmo della disperazione, si suicida, gettandosi dal piano alto della sua fattoria, nell'incredulità sgomenta di amici e familiari.
Senza il contributo dei miei zii paterni, oggi non potrei conoscere e proporvi questa romanza, che in un certo senso è "roba di altri tempi". Ma non è solo la gratitudine familiare che mi spinge a riproporre questa romanza, quanto il dover constatare la straordinaria originalità della musica.
Il tenore, all'opera, è sempre un uomo forte, eroico, virile, con tutti i sentimenti a posto: mai un giovane Holden, un adolescente insicuro, e minato nell'intimo da un male oscuro che oggi conosciamo, ma che, al tempo (1898) era impronunciabile: depressione. Non c'è altro pezzo secondo me che esprima in modo tanto commovente e soprattutto vero la depressione in musica; e il crescendo di quel tumore psicologico che ti mina il desiderio di vivere, corrodendoti intimamente con un oscuro, ambiguo, eppure potente, istinto di morte.
Ascoltatevi questa valentissima esecuzione del giovane Jonas Kaufmann


5) Giacomo Puccini, Madama Butterfly, Coro a bocca chiusa:
A detta di moltissimi critici, il pezzo, tra i più noti e celebrati di Puccini, è anche forse il più sdolcinato. 
Drammaturgicamente, però, è molto originale ed efficace.
Butterfly (ex ghiesha) ha sposato Pinkerton, marinaio americano, "stazionato" a Nakasaki e ha avuto un figlio. Finge di non sapere (la sua dignità, il suo orgoglio di donna, moglie e madre glielo impedisce di credere) che il marinaio americano l'ha sposata per burla e senza alcun impegno. Dì lì a poco, infatti, tornerà il suo uomo, ma con la moglie (regolare) sposata in America, e per riprendersi il bimbo.
Butterfly sa che questo è il suo destino, ma l'orgoglio le impedisce di accettarlo. O forse, non è solo l'orgoglio, ma la voglia di rimanere nell'illusione, romantica e dolce, del primo amore, nel non volere accettare la dura realtà: forse, Butterfly, in fondo, dentro di sè, vuole restare bambina e muore (più che per disonore) perchè non accetta il "duro mondo" degli adulti: vuole restare la "bimba dagli occhi pieni di malia" che Pinkerton ha declamato in una celebre e affettata aria del primo atto.

Prima dell'impatto con la "dura realtà", Puccini ha tempo di disegnare per Butterfly un dolce paesaggio sonoro di voci mute, il "coro a bocca chiusa" appunto. Sono fantasmi lontani, fantasmi di tenerezza, eppure presaghi di morte, ma di una morte dolce, che ti prende e ti culla come una ninna nanna: è il limbo esistenziale di Butterfly, il "mondo di infanzia" dalla quale non sa e non vuole uscire.



Il brano, di grande successo popolare, ha conosciuto diverse rielaborazioni contemporanee.
Ne riproponiamo alcune, che il pubblico potrà aver sentito.

James Last: Questa straordinaria esecuzione evoca certe pagine di Vangelis, a testimonianza della grande modernità musicale di Giacomo Puccini.



Filippa Giordano- 2002- Album Il Rosso Amore.
Con Filippa Giordano, siamo nel pieno del genere del cd "Operatic Pop", che cerca la contaminazione tra musica lirica e musica leggera.


Puccini, con il Coro a Bocca chiusa, inventa un uso delle "voci mute" in funzione lirico-amorosa, che diventerà un must e un luogo comune per la musica pop, particolarmente negli anni '70.
Alcuni illustri esempi (tra l'altro contemporanei):


-Un Sospero, Daniel Santacruz Ensemble (1974):


-Tornerò, I Santo California (1975):


- Africa, Gli Albatros (Toto Cutugno):


E PER FINIRE BUON 2015 A TUTTI!!! BRINDIAMO ALL'ANNO NUOVO, COME SOLO ALL'OPERA SI FA....
P.S. IL PUBBLICO FEMMINILE POTRA' FARSI L'OCCHIO CON ... ROBERTO BOLLE ...



martedì 19 agosto 2014

"LA RONDINE" (GIACOMO PUCCINI, 1917): D'AMORE (NON) SI MUORE ...

Si può avere il mondo in mano, il potere, i soldi, le chiavi di quelle che modernamente si chiamano "stanze dei bottoni" ... e sentirsi soli?  Può una dama parigina tipo Madame Pompadour sognare il vero amore?
Davvero Puccini, il grande Maestro Giacomo Puccini, in quel 1917, non aveva altro cui pensare?
Infuriava la Grande Guerra; si era nel 1917, alla vigilia di Caporetto e della Rivoluzione d'Ottobre, eventi enormi e terribili, che avrebbero scosso le coscienze di tutto il mondo. E in quell'annus terribilis della storia mondiale, Giacomo Puccini si scomodava a mandare in scena La Rondine, a Montecarlo, sfidando le lunghe traversie produttive, che la sua piccola opera "leggiadra e sentimentale" stava incontrando (complice la Committenza viennese della Rondine, che teneva il lucchese in sospetto di "disfattismo", in tempi di Grande Guerra e di dannunzianesimo imperante). E tutto questo, il lucchese, lo faceva per dirci, per bocca di Lisette,

"Amor sentimentale, storie! Si vive in fretta: mi vuoi? Ti voglio? E' fatto!"

Lisette: la servetta tutto pepe di Magda, che non ha peli sulla lingua e che se ne infischia dell'etichetta e del contegno che esige un salotto parigino.
Che non si muore per amore, non era vero solo a Battisti e Mogol negli anni '70, ma era vero anche per Puccini ai tempi della Grande Guerra (e di fatti, in quel periodo si moriva ... ma per tutt'altro!).
Ma, si sa, nel melodramma, nell'opera lirica, c'è sempre spazio per l'eccezione ...
specie se ti trovi al pianoforte, a strimpellare l'ultima canzonetta preparata da un Prunier qualunque.

"Chi il bel "sogno di Doretta" potè indovinar? ..."

                                          "Chi il bel sogno di Doretta" ... di Anna Moffo, 1967

Basta un pianoforte, un verso più o meno ispirato trovato lì per lì, uno sguardo languido ... ed è subito amore!

"Che importa la ricchezza/Se al fine è rifiorita la felicità/O sogno d'or/Poter amar così ..."

Forse Magda ha assunto stupefacenti, forse si è fatta una canna ... Niente di strano, in un salotto parigino, anche se Giuseppe Adami, il librettista, non ce lo dice (si sa, del resto, la censura...). Ma è certo che in quel momento darebbe via tutta la fortuna accumulata in una vita di lussurie compiacenti per ... il vero amore!

"Denaro, nient'altro che denaro/ma via, siate sincere/Son persuasa che voi mi assomigliate/E spesso 
rimpiangete la piccola grisette/felice del suo innamorato...".

Ma cos'è successo a Magda? Chi l'ha plagiata? Chi è il "perfido" mago che la sta traviando?
Presto detto, il "mago" che la sta mandando nel pallone è colui che canta questa melodia (celeberrima):

                                         "Bevo al tuo fresco sorriso", Roberto Alagna, 2010

Si sa, per ogni femme fatale che si rispetti c'è sempre ... un homme fatale!
Del resto, d'Annunzio docet: da Andrea Sperelli (Il Piacere, 1889), a Tullio Hermill (L'Innocente, 1892), a Stelio Effrena (Il fuoco, 1900), a Paolo Tarsis (Forse che sì, forse che no, 1910), in quel fine 800/inizio 900 non erano poche le Anne Karenine che buttavano via reputazione, matrimonio, soldi, posizione, per inseguire la passione, la perdizione dietro ... l'Uomo del destino.
E l'homme fatale di Magda si chiama Ruggero de Lastouc, studente.
Ma che cos'ha di così eccezionale questo Ruggero, questo Super-Uomo pucciniano, da perderci la testa? Vediamo un pò.
Entra, e a fatica ci accorgiamo che è entrato: "O mio giovine amico, dovete perdonarmi..." recita imbarazzato il baritono Rambaldo e su una melodia, che, tra l'altro, non è nemmeno ad hoc, ma è la ripresa di uno dei refrain di Magda, che rimpiange l'Amore.
Concedeteci una piccola parentesi da melomani (N.B. chi non è melomane, è pregato di saltare, e di andare avanti, dopo il video).
I tenori si dolgono di questa entrata, che li sminuisce, scenicamente: di qui, la scelta, eclettica, invero, di riprendere la romanza di presentazione che Puccini introdusse per le prime al Politeama di Palermo e al Volkoper di Vienna nel 1920, Parigi è la città dei desideri. Lo ha fatto Roberto Alagna nella rappresentazione di Rondine, di grande successo, nel 2010 ... ma detto, tra noi, non funziona... La vogliamo ascoltare? Eccola:

                                         Josè Cura, Parigi è la città dei desideri...

Ma torniamo a Ruggero: chissà che segreti arcani del piacere e della passione saprà distillare per far perdere la testa a una gran dama parigina ...???
Dunque, si presenta da Rambaldo, l'amante di Magda: a che titolo? E' figlio di un compagno di infanzia ... Beh, più che d'Annunzio, tutto questo fa molto Simenon, specie il Simenon del Caso Saint Fiacre, con le sue dense memorie di provincia, col Commissario Maigret che ritrova la villa nobiliare, dove suo padre era intendente e amministratore, dove lui serviva messa ... E già ci figuriamo, Rambaldo, il rampante finanziere parigino, che mantiene Magda, bambino, servire messa con il papà di Ruggero  ... fa molto Super-Uomo, no?
Va bene, quisquillie direte voi. Andiamo avanti.
Come tutti gli eroi dannunziani, Ruggero certo non può negarsi l'ora del piacere ... al Bullier ... locale di bassifondi, molto Bohème ... Vabbè, si dirà, ma il locale notturno è il luogo e il momento giusto per far esplodere la potenza seduttiva ...

"Così timida e sola somigliate alle ragazza di Montabaun/Quando vanno a ballar alla carezza di una musica vecchia/Tutto sorriso e tutte giovinezza ... Le ragazze laggiù son molto belle/E semplici e modeste/Non sono come queste.../Basta un puro ornamento, un fiore nei capelli/Come Voi".

Sono queste parole, dispensate (imprevedibilmente) sotto forma di one step (ballo allora raro in Italia, ma che avrebbe impazzato negli anni ruggenti, anche in Italia), a scatenare il primo motore della libido in Magda: la voglia sfrenata di ballare ...
Detto tra noi: ma se ti piacciono le ragazze di campagna, caro Ruggero, perchè diamine sei venuto a Parigi? E perchè vai al Bullier, chi speri di trovare? Delle novizie? Ma vai a ...
Comunque, è subito Amore ...
Insomma, direte Voi, quali virtù nascoste, quali incantesimi arcani possiede questo "cretino" da far cadere Magda innamorata? Davvero, all'opera lirica tutto è possibile, ma (direte Voi) c'è un limite a tutto....
Il segreto, io lo so... eccolo, ascoltate:

                                          Sogni d'or, romanza da camera del 1912,
                                          canta Krassimira Stoyanova

Eccolo, l'arcano di Ruggero: la sua aria, quella che l'ha reso celebre, solo in apparenza è il "solito brindisi" del giovane innamorato (vedi il celeberrimo di Traviata); in realtà, è una ninna-nanna. Il richiamo di Ruggero per Magda è in realtà un richiamo di infanzia, una voglia di infanzia, l'illusione di tornare al mondo semplice, puro e incontaminato che gli adulti ci presentano da bambini.
Il "sogno di Doretta" con cui si è aperta l'opera ... è un sogno di infanzia... un sogno di regressione all'utero!
E' grazie a questa regressio ad uterum se una Madame Pompadour, come Magda de Civry, che ha trionfato nei salotti e nelle alcove più esclusive di Parigi, può sentire lo struggente desiderio di tornare ragazzina, la piccola grisette, che scappa di casa per andare al ballo e farsi baciare (castamente!) da un ingenuo e sbarbato studentello, nell'ebrezza e nell'esuberanza di un ingenuo walzer ballato nei bassifondi parigini.
Ma, come per la Bella Addormentata nel Bosco, un giorno l'incantesimo svanisce ....

                                      Dimmi che vuoi seguirmi alla mia casa, Daniele Barioni

Cosa c'è dietro ... il "sogno di Doretta"? Una mamma affettuosa e trepida, dedita alla monotonia arcaica della vita familiare (di provincia, di campagna), che non vive se non nell'attesa che il proprio figliolo, il proprio rampollo trovi una donna, cui sottoporre la stessa vita: matrimonio, figli, casa ...
Davvero, non la vita che fa per Magda.

" ... La vostra vita non è questa/Tra piccole rinunzie e nostalgie/Con la visione di una casa onesta/Che chiuda l'amor vostro in una tomba", l'ammonisce il vecchio amico, il poeta Prunier alla fine del terzo atto.

Ed è a questo punto, il colpo di scena: Magda "decide di andarsene"; per Puccini, è un parziale ritorno a Manon Lescaut (1893). L'eroina di Prevost, tutta presa dalla passione per De Grieux, che, attratta dai gioielli di Geronte e dalla vita di cortigiana, abbandona il "picciol desco" dove condivideva con il giovane amante studente una vita di passione ... e di stenti. Qui, però, non c'è un vecchio vizioso, pronto a possedere un'ingenua fanciulla con la seduzione del lusso; non c'è un fratello ricattato affettivamente e corrotto che si presta ... Non c'è nemmeno (come in Traviata) l'opposizione della famiglia di lui per ... la "sgualdrina". Anzi, la mamma è ben disposta con l'amata e c'è da credere abbia capito che non si tratta proprio ... di una novizia! No, non c'è tisi (Bohème), non c'è conflitto morale (Manon), non c'è oltraggio all'onore (Madama Butterfly), che ostacola l'amore: stavolta è Magda, la protagonista, l'eroina femminile, che, di punto in bianco, taglia i ponti.

"Posso essere l'amante/Non la sposa che tua madre vuole e chiede"

(Nella foto, a sinistra, Beniamino Gigli e Lucrezia Bori, rispettivamente Ruggero e Magda al Metropolitan di New York nel 1936)

Il finale dell'opera (tra l'altro, vero scoglio critico per gli esegeti, e punto creativo irrisolto per Puccini stesso) colpisce per la rapidità e per l'assenza di motivi e melodie che restano impresse nella memoria.
Il finale (eccettuata la struggente romanza finale che ascolteremo) è uno dei più spogli e verrebbe dire brutali musicalmente, che Puccini abbia scritto. Verrebbe da dire dei più "spoetizzanti"...Ma non è questo un limite dell'opera (come visto da molti critici), quanto una scelta musicale coerente al tono dell'azione scenica: questa musica non è che una "operazione realtà" su Magda, la quale si è bruscamente risvegliata dal "sogno di Doretta". 

Magda riprende il controllo della situazione: lei non è una Emma Bovary che sogna il "bel mondo" parigino, salvo poi accontentarsi di sedurre dei falliti di campagna, a loro volta frustrati. No, Magda è una donna che è arrivata ai piani alti. Ha pagato un prezzo pesante per arrivare, ma è arrivata, e non rinuncia ad una posizione che le procura sì la fama di prostituta, la allontana dal passato di grisette, ma che per lei significa una mèta inderogabile: la Libertà! Magda, in questa improvvisa "rivelazione", certo non appare sotto una bella luce! Non tanto perchè ... puttana, ma perchè si rivela una spregiudicata e cinica cortigiana, che gioca con i sentimenti e che spella come un pollo (sentimentalmente parlando) il povero, ignaro, Ruggero. Questo, però, è il destino di una Rondine, che non può essere legata all'eternità di un matrimonio di campagna, e che, viceversa, è chiamata a migrare di cielo in cielo, di amore in amore. Come del resto, le aveva predetto nel primo atto il poeta Prunier ...

"Forse come la rondine/migrerete oltre il mare/Verso un chiaro paese di sogno/Verso il sole/Verso l'amore e forse ... Il destino ha un duplice viso/Un sorriso/Un angoscia/mistero".

(Nella foto, il soprano Anna Moffo, che, nel 1967, interpretò Magda in un'esecuzione del Maestro Molinari Prandelli, che segnò una rinnovata attenzione critica per La Rondine, dopo anni di silenzio)
 

mercoledì 4 giugno 2014

"AMAMI, ALFREDO!", QUEL SIMPATICO, ROMANTICO "BAMBACCIONE" (LA TRAVIATA, VERDI, 1853)

    Stefania Sandrelli e Dustin Hoffman in Alfredo, Alfredo (1972) di Pietro Germi

Spesso all'opera il tenore fa ... il "Signor tenore": canta in modo elegiaco, si sdilinguisce in moine e cadenze strappalacrime ... e combina "casini" (per passione e amore, si dirà, ma sempre "casini")!
Come tanti uomini innamorati nella realtà, se ci pensiamo bene, almeno secondo il luogo comune, secondo l'immagine stereotipata che tanto frequentemente ce ne offrono le donne.
Per un Alfredo "bambaccione" e "piantacasini", c'è sempre una Violetta pronta a piangere e a morire d'amore (oggi, per fortuna, non di tisi!): è la catena dell'amore, e a sentire le ns donne, più gli uomini sono stupidi, più sembrano avere in sè come una una "calamita" capace di attirare le donne nei fatali gorghi della passione e della perdizione.

                                      Beniamino Gigli, Lunge da lei ... De' miei bollenti spiriti
                                            La Traviata- Atto secondo, primo quadro

"Dell'universo immemore/io vivo quasi in ciel!"
Siamo all'inizio del secondo atto, primo quadro.
Violetta e Alfredo si amano alla follia, ma stanno andando dritti dritti alla bancarotta: Violetta si è pentita della sua vita dissoluta, ma i due amanti non hanno certo rinunciato al lusso, così i creditori bussano alle porte (creditori ... ohibò, "strozzini" sarebbe meglio dire, chè nella Parigi di Balzac- Papà Goriot- e di Gustave Flaubert- Madame Bovary- lo strozzino è come il barboncino, il compagno immancabile delle donne parigine d'alto bordo del XIX Secolo). Insomma, i due amanti verdiani sono rovinati e Alfredo ... si sente "quasi" in Cielo!
...
Si noti, il "quasi"!
E quando Annina, la Cameriera, gli confiderà in segreto che Violetta sta mettendo all'asta i suoi beni per far fronte ai creditori, il bell'Alfredo allora avrà la bella pensata: andare dal Padre suo a chiedergli di anticipargli la sua parte di eredità! Il sistema migliore per attirarsi i fulmini del Padre, che, incattivito e iracondo, chiederà a Violetta il fatale ... "sagrifizio"! Bel furbo, il Signor Tenore, no?
                                   Alfredo Kraus (Alfredo) e Maria Callas (Violetta) Parigi, o cara
                                        Dal terzo atto de La Traviata di Giuseppe Verdi

Passiamo ora al terzo atto. 
Alfredo ha appena appreso dal Padre la Verità: Violetta lo ha lasciato, non perchè "sgualdrina", per gli inconfessabili ricatti del suo vecchio protettore, il Barone Dufol, ma per amore suo e della sua famiglia, per evitare lo scandalo che la loro relazione ha causato nel cotè familiare di lui. Violetta è stremata e distrutta: dalla malattia e dal tedio di una vita amara e senza senso, priva della consolazione dell'amore.
Alfredo arriva, come un eroe sul cavallo bianco: arriva al capezzale di lei, giusto in tempo per consegnarci il commovente duetto d'addio.
E cosa canta?

"Parigi, o cara/Noi lasceremo/La vita uniti/Trascorreremo/De' corsi affanni/Compenso avrai/La Tua salute/Rifiorirà/Sospiro e luce/Tu mi sarai/Tutto il futuro/Ne arriderà".

D'accordo, la musica è dolce e commovente; e il tenore può essere davvero irresistibile nel canto.
A sentire queste parole, però, come non domandarsi: ma il Signor Tenore "ci è, o ci fa?". D'accordo, il duetto d'addio, d'accordo che per commuovere si deve commuovere, d'accordo che deve consoldare Violetta, ma ... parlare ad una tisica di "futuro", di salute che "rifiorirà" pare proprio l'apoteosi dell'idiota! Insomma, in un momento tanto tragico, c'è da perdersi in tanta poesia?
E in effetti, Violetta gli fa eco poco dopo  nel recitativo, prima della "cabaletta" (Gran Dio, morir si giovine ...), triste e sconsolata:

"Ma se tornando/Non m'hai salvato/A niuno in terra/Salvarmi è dato!"

Che non potrebbe suonare come più crudo richiamo alla realtà per i fervorini dell'innamorato Alfredo, della serie: ma non lo vedi come sono messa? E tu trovi il tempo per arie e duetti sdolcinati, adesso che sto morendo? Adesso che il tempo che avevamo per poterci amare davvero, è perduto per sempre?
Ma lui pare proprio non sentirci da quest'orecchio e, imperterrito, persevera:

"O mio sospiro e palpito/Diletto del cor mio/Le mie colle tue lagrime/Confondere degg'io/Or più che mai, nostr'anime/han d'uopo di costanza,/ah! tutto alla speranza/non chiudere il tuo cor".
"Non perdere la speranza!" ... Vallo a dire a una che sta morendo!
E non è nemmeno da dire che Alfredo non abbia capito l'inopportunità di certe effusioni, in un momento simile.
Guarda caso, infatti, è proprio questo che contesta al Padre, Giorgio Germont, quando questi arriva al capezzale di Violetta. E in questo Alfredo è anche un pò (mi si passi il termine) "Stronzo!": perchè, quando Papà Germont (visibilmente imbarazzato e impacciato) offre a Violetta parole un pò di maniera per salutarla in quel penoso stato, Alfredo non manca di rinfacciare al Padre la falsità delle sue parole: "Lo vedi, Padre mio?" Gli rinfaccia crudele... Come dirgli: "Vecchio rincoglionito, ma non ti rendi conto di quanto inopportune sono le tue parole affettuose ora?". E d'accordo, che Papà Germont ha fatto molto male a Violetta ...Ma qualcuno del pubblico, un pò smaliziato, a sua volta, gli potrebbe dire: "Si ma tu, Alfredo? D'accordo che sei l'innamorato, ma davvero non stai esagerando con la tua oratoria amorosa in articulo mortis?".
...
E Verdi? E l'Autore cosa ne pensa? Qual'è il suo punto di vista? A chi da ragione?
Verdi tratta con visibile affetto Alfredo, ma anche con palese distacco; come ad ammonire il pubblico ...
"E' un ragazzo" sembra dica Verdi "Non prendetelo troppo sul serio!"

                                         Un dì, felice eterea

Sentimentale, appassionato; eppure contemporaneamente istrionico: questa è l'ambivalenza indubbia con la quale Verdi caratterizza Alfredo.

Alfredo sentimentale.
Un dì, felice, eterea ... canta Alfredo nel primo atto come dichiarazione d'amore a Violetta:
Non è un'aria straordinaria questa, benchè famosissima (specie nel tormentone finale, Croce e delizia). Ma è un'aria che, nel suo procedere lento, verrebbe da dire "inamidato", è di un verismo straordinario, perchè è esattamente la melodia, le parole, che sentiresti in bocca ad un ventenne, timido, impacciato, alle prese con la prima vera "cotta".

Alfredo retore.
Alfredo, infatti, non è solo ... un Tenore ... e basta, ma è anche come un Tenore ... cui piaccia ascoltare sè stesso!
Fuori dall'estremizzazione di questa frase, è indubbio che Verdi disegni il personaggio di Alfredo, come un personaggio cui piace ... ascoltarsi. Con la terminologia odierna, Alfredo si direbbe una personalità "auditiva"; un personaggio che ama cercare l'effetto delle sue parole sugli altri, sul pubblico: un personaggio, a suo modo, dal temperamento estroverso, istrionico, che fa da pendant al suo sentimentalismo.
Assolutamente simmetriche sono, in questo senso, le scene del brindisi (stracelebre) del primo atto (Libiam ne' lieti calici) e il secondo quadro del terzo atto.
Ecco la scena del brindisi:

                                         Libiam ne' lieti calici

Libiam è brano sufficientemente famoso, da ritenermi esonerato dal dare ulteriori spiegazioni.
Dedicherò, invece, un discorso un pò più ampio al secondo quadro del secondo atto: dove Alfredo è (in negativo) il "mattatore".
La trama narrativa, qui, segue il cannovaccio di Dumas jr: Alfredo arriva alla festa dove si trova Violetta con il suo vecchio amante e coglie l'occasione pubblica per svergognarla come sgauldrina: in questa scena (sia nell'opera sia nel romanzo), Alfredo cerca lo scandalo in un crescendo di provocazioni , per costringere l'amante di Violetta a sfidarlo a duello. Ma qui Verdi aggiunge qualcosa di suo. 
Questa scena (di pretto Dumas jr., abbiamo visto) è successiva (nella sceneggiatura di Verdi e Piave) alla gustosissima performance del coro delle zingarelle e dei matadori.
Vedere per credere:

                                         Noi siamo zingarelle ... di madride noi siamo ...
                                     La Traviata, Secondo atto, Secondo quadro, Giuseppe Verdi

La vicenda incredibile ed evidentemente burlesca di Piquilio che uccide cinque tori uno dopo l'altro nell'arena per compiacere la propria bella, cantata dal coro in un clima chiaramente carnevalesco e goliardico, ricalca (in contrappunto "comico" e "ridicolo") la "disfida" che Alfredo lancia al Barone, amante di Violetta: l'arena del matador Piquillio corre in parellelo con la voglia di sangue e di duello di Alfredo.
Un gustoso ed eccezionale compendio di "teatro nel teatro", che ridicolizza in modo vistoso la "voglia di sangue" di Alfredo!

Insomma, Alfredo è un personaggio che Verdi ama, ma che non prende del tutto sul serio: pare quasi scusarsi col pubblico "Scusatelo-pare dirci il Maestro di Busseto- è un ragazzo!".
Non di rado, poi, ritmi di nenia, ninna nanna lo accompagnano.
Conosciamo tutti l'aria che Papà Germont gli rivolge nel secondo atto (primo quadro) per consolarlo della perdita di Violetta Di Provenza il mare, il suol; ma anche Parigi, o cara ha la cadenza della ninna nanna! 
Troppo, per non pensare che Verdi abbia inteso rimarcare proprio su Alfredo una caratterizzazione infantile, sia pure con dolcezza e affetto.

Contrapposta al sentimentalismo sincero e impulsivo di Alfredo, la drammaticità di Violetta: chè pare lei, in certe circostanze ... l'uomo della situazione!
Manrico, Ernani, gli eroi del melodramma verdiano della stagione romantica e pseudo-risorgimentale sono uomini esiliati, in lotta mortale con Sovrani, Signorotti feudali violenti, continuamente sospesi tra la forca e una insperata possibilità di salvezza. Qui, nella Traviata è Violetta il personaggio sospeso tra la vita e la morte, l'eroina tragica che in altre circostanze del melodramma ottocentesco è ... uomo!
Una per tutte: Morrò, la mia memoria (Secondo atto, primo quadro):

                                                           Morrò, la mia memoria

Un brano tragico, asciutto, solenne e (verrebbe da dire) quasi ieratico che è, per Violetta, l'equivalente di quello che per Manrico, l'eroe de Il Trovatore è Di quella pira! L'aria del sacrificio, dell'immolazione; l'aria che diventa un vero e proprio inno, icastico:

"Conosca il sagrifizio/ch'io consumai d'amore/E sarà suo fin l'ultimo/Sospiro del mio cor.."

C'è una differenza tra Alfredo e Violetta, una differenza che Verdi non si stanca mai di rimarcare: mentre Alfredo (sentimentale) è a suo modo una "primadonna" innamorata del palcoscenico, che ruba le scene e l'attenzione degli altri, con i suoi innamoramenti, e i suoi drammi veri e presunti, Violetta vive drammi perennemente segreti, sconosciuti all'esterno e perennemente fraintesi: o oltraggiati, come nella fine del secondo atto, da Alfredo.
Invano, Violetta lo ammonisce:

"Alfredo, Alfredo/Di questo core/Non puoi comprendere/Tutto l'amore/Tu non conosci/Che fino a prezzo/del tuo disprezzo/pagato io l'ho/Ma verrà tempo/Che tu 'l saprai/Come t'amassi Confesserai/Dio dai rimorsi/Ti guardi allor/Io spenta/Pur t'amerò"

Alfredo, Alfredo, di questo core ... Renee Fleming (Violetta)
Da La Traviata, Giuseppe Verdi, Atto secondo (finale)

giovedì 29 maggio 2014

GIORGIO GERMONT, APOLOGIA DELL'UOMO COMUNE- DA LA TRAVIATA (GIUSEPPE VERDI, 1853)

Nella riduzione librettistica de La Signora delle Camelie di Dumas curata dal veneziano Francesco Maria Piave per La Traviata (1853) di Giuseppe Verdi, Giorgio Germont è il papà di Alfredo (Armando, nel romanzo), amante di Violetta (Margherita Guatier, nel romanzo).
Giorgio Germont sembra un insopportabile concentrato di miserie e piccinerie piccolo-borghesi e borghesi da rendere indigesto anche la soap più celebrata: il papà moralista, il borgo natìo (o il clan familiare?) che (nientemeno) condanna la relazione (ma non era "vero amore"?), la figlia che rischia di rimanere a vita "zittella" (cosa poteva fare una donna, se non sposarsi, prima dell'avvento del femminismo?). Insomma, secondo i clichè sentimentali di oggi, un personaggio del genere è poco meno di un Mostro. Anzi, come vedremo, un Femminicida!
Eppure, il Baritono-Germont conquista sempre la scena. Quando poi alla fine del primo quadro del secondo atto intona affettuoso e salmodiante,  Di Provenza il mare, il suol (Video 01), la platea è ai suoi piedi, entusiasta e convinta. Ma cosa c'è da applaudire?
Ascoltiamo la romanza, così come ce la presenta Youtube:

                                                                     VIDEO 01
                                                       Renato Bruson (Baritono)   

                                        Di Provenza il mare, il suol ...-Secondo atto, primo quadro
                                                           La Traviata, Giuseppe Verdi

La romanza già musicalmente ha una struttura curiosa: pare una ninna-nanna. Almeno, la frase della strofa ha l'andamento cantilenante, e ciclico della ninna-nanna, come se Germont stesse parlando ad un bimbo. 

"Di provenza il mar, il suol .../Chi dal cor ti cancellò/Chi dal cor ti cancellò/Di Provenza il mar, il suol .../Al natìo ridente sol/Qual destino ti furò/Qual destino ti furò/Al natìo ridente sol ..."

I flauti doppiano la melodia all'inizio, e conferiscono alla frase musicale una grande tenerezza, una grande dolcezza, mitigata solo nel refrain finale, dove Germont assume un tono più deciso, caldo e perentorio (stigma dell'Autoritarismo del Padre) prima della frase finale "Dio mi guidò ... Dio mi esaudì".
Siamo all'apoteosi del mellifluo, dell'ipocrisia borghese, del machiavellismo familiare mascherato da buoni sentimenti? Può darsi, ma ogni volta, a teatro, è un tripudio di applausi: anche oggi! Eppure, l'800 è finito da un pezzo e certi "ostacoli familiari" paiono roba da museo ... o da mostri (da finire in galera!).
Tanta tenerezza, tanta dolcezza ... Eppure poco prima Germont ha fatto e detto cose terribili!
Poco prima, nel duetto, Giorgio Germont ha praticamente ammazzato Violetta (ammazzato moralmente, chè la morte fisica verrà da se).
Ad una Violetta già vicina alla morte, già comunque impegnata, complice il primo "vero amore" di Alfredo, in una radicale revisione della sua dissoluta vita, Germont pensa bene di rinfacciare che sua figlia, la sortella di Alfredo "pura siccome un angelo", non riesce a sposare l'uomo che ama ... perchè "disonorata"! "Disonorata" dall'infamante concubinaggio parigino del fratello! E nonostante Germont-Padre abbia più di un'occasione per capire che Violetta non è una donna leggera, ma una donna innamorata e moralmente impegnata a cambiare vita per amore ... resta irremovibile! Preso atto dei "nobili sensi" di Violetta, a maggior ragione pretende il "sagrifizio" ("ed a tai sensi un sagrifizio chieggo!"). Violetta, consapevole del "disonore" della famiglia di lui, si offre di allontanarsi per un momento da Alfredo. Germont è inflessibile: deve lasciarlo!
Per ascoltare il duetto, una delle pagine musicalmente più famose, ricche e complesse della produzione verdiana, vedete il video che segue:

                                                                    VIDEO 02
                                         Duetto Violetta (Cristina Radu Soprano)- Giorgio Germont
                                                   (Marton Fulop Baritono) in La Traviata,
                                                          Giuseppe Verdi, secondo atto

Per Violetta è il dramma nel dramma.
Il fantasma della ragazza "pura", rovinata dal "concubinaggio" con Alfredo (rovinata di fatto da lei), la farà capitolare: Violetta abbandonerà Alfredo (Dite alla giovine .... Video 03)

VIDEO 03                      
 R. Fleming & D. Hvorotovsky "Dite alla Giovine ... Morrò la mia memoria", La Traviata, Giuseppe Verdi 


VIOLETTA:
Dite alla giovine - si' bella e pura
Ch'avvi una vittima - della sventura,
Cui resta un unico - raggio di bene
Che a lei il sacrifica - e che morra'!
 
E cosa pensate che le dica Germont?
 
GIORGIO GERMONT:
"Si', piangi, o misera - supremo, il veggo,
E' il sacrificio - ch'ora io ti chieggo.
Sento nell'anima - gia' le tue pene;
Coraggio e il nobile - cor vincera'."



Mentre Violetta ci consegna la straziante melodia, sul filo di voce, della sua resa e del suo sacrificio, lui la lascia dibattersi nelle spire di un rimorso, di un terribile ricatto morale (tutto femminile!).
Diciamoci la Verità: ma non sarebbe considerato oggi un "femminicida" un uomo del genere? 
In effetti, se il duetto finisse al "Dite alla giovine", il giudizio su Germont sarebbe implacabilmente questo.
Ma è alla fine, che Violetta ha un colpo di coda (Video 4).
Violetta è tisica, vicina alla morte. Il dispiacere che Germont padre le impone, accelererà il decorso della sua morte. A Violetta, stretta nella morsa del "sagrifizio" che la morale borghese impone, non resta che un monito, l'estremo ricatto morale.

VIOLETTA
(tornando a lui)
Morro'! la mia memoria
Non fia ch'ei maledica,
Se le mie pene orribili
Vi sia chi almen gli dica.

GERMONT
No, generosa, vivere,
E lieta voi dovrete,
Merce' di queste lagrime
Dal cielo un giorno avrete.

VIOLETTA
Conosca il sacrifizio
Ch'io consumai d'amor
Che sara' suo fin l'ultimo
Sospiro del mio cor.

GERMONT
Premiato il sacrifizio
Sara' del vostro amor;
D'un opra cosi' nobile
Sarete fiera allor.

Il Germont rigido e intransigente censore subirà un colpo, dopo questa testimonianza così toccante e disperata.
E ne dobbiamo tener conto per lo sviluppo successivo dell'opera.
Germont comparirà sul "capezzale" di Violetta in punto di morte. Ma questo non ha gran storia: chi ha un'anima borghese, prima fa il danno, poi è solito piangere "a babbo morto".
Colpisce, invece, il pur breve intervento di Germont alla fine del secondo quadro del secondo atto, a difesa di Violetta appena insultata pesantemente come prostituta (Di sprezzo degno ...).


                                                                          VIDEO 04  
                                Morrò la mia memoria (Secondo atto, primo quadro) 
                           Maria Callas-Violetta (soprano) e Ettore Bastianini-Germont (Baritono)

Quando vidi l'opera, per la prima volta, a 17 anni, storsi il naso per questa "comparsata" di Germont senior: come può un uomo austero, verosimilmente cattolico, come Papà Germont, che ha appena concionato di "disonore", di "mercimonio", andare come se niente fosse, in una casa di "dubbia fama" a cantare, per di più, la sua indignazione per il comportamento del figlio con la Ex-Amante. Non è ridicolo tutto ciò? Non è inverosimile?
Tra l'altro, la ricomparsa in questo momento del Papà di Alfredo non trova l'equivalente nel dramma originario La Dame aux Camelias di Dumas; è farina del sacco di Verdi-Piave, insomma!
A parte i facili "rimorsi" a babbo morto, oggi mi sono convinto che in questa scena Germont non sia venuto a difendere il figlio (ad evitare il prevedibile duello, che per altro si svolgerà, ma non sulla scena), ma a tutelare l'onore di lei: a difendere lei, insomma! E non solo dall'ira del figlio, ma dalle chiacchiere della gente!
Insomma, Germont, da accusatore, diventa l'Avvocato difensore praticamente ufficiale di Violetta, quello che può garantire davanti a tutti che "la traviata" si è ravveduta.
Una protezione a tutti gli effetti insomma!







Ma per quale motivo Verdi e Piave (non Dumas, lo abbiamo visto) insistono su questa svolta del personaggio?

Io, al riguardo, ho una teoria mia personale.
Ascoltiamo la musica. Verdi affida al personaggio, non un canto scuro e arduo da Scarpia (Tosca, Puccini, 1900) ma una tenera e appassionata cantilena, quella che lo ha reso immortale nel mondo dalle prime rappresentazioni di Traviata e che commuove infallibilmente il pubblico.
Germont non è un mostro, sembra dirci Verdi.
Secondo il mio modesto giudizio, Giorgio Germont, nell'opera di Verdi, ha il compito di riportare la vicenda al livello dell'uomo comune, facendo da contrappunto al travolgente romanticismo della storia di Violetta ed Alfredo.
D'accordo, è "l'uomo comune" dell'800, il "buon padre di famiglia" di allora, oggi un padre del genere sarebbe denunciato.
E' un uomo, come noi, come tutti, immerso nel fango di cui spesso è intessuta la vita quotidiana, dove spesso non ci accorgiamo di fare male. O meglio, facciamo anche del male, facciamo anche scelte sbagliate, ma lo facciamo per amore dei nostri figli. Pensiamoci un attimo, e allora ci troveremo tanti in quella veste.
Giorgio Germont, in fondo, è un Emma Bovary ... al contrario!
Mentre Emma Bovary sognerà Parigi come "terra promessa" senza mai raggiungerla, condannata alla sua vita dissipata e da spostata nella Provincia del Nord, tanto povera e arretrata, Germont rifiuta e teme Parigi come il diavolo. Mentre Emma sogna Parigi, credendovi di trovare la vita piena e intensa cui aspira, Germont teme Parigi e cerca di allontanarne i velenosi tentacoli che avvicina nella pur quieta vita di Provincia, con il suo carico di chiacchiere e delle maldicenze. E Germont è anche lui vittima degli eventi: tramortito dalla successione di eventi incresciosi, si trova ad annaspare, lui, provinciale, abituato alle "piccole cose" della sua Provenza.



In questo, credo, si coglie meglio la profonda ragione d'essere della presenza di Germont in quella apparentemente strana chiusa del secondo atto, quando interviene a difesa pubblica di Violetta.
Nel gioco di maschere squallide e false della vita mondana di Parigi, di cui Violetta è suo malgrado vittima   (un "gioco" pure reso da Verdi con la fantasmagorica e, in questo senso, allegorica sequenza delle zingarelle e dei matadori, che prefigurano gli uni i pettegolezzi mondani e l'altro le contese di Alfredo e il Barone su Violetta: Video 05 Avrem lieta ... Siamo zingarelle ... Di madride noi siamo ...), Germont è il tutore della Sincerità della protagonista.
La "campagna", la "provincia" prende una rivincita ... sulla città.

                                                                   VIDEO 05
                                 Avrem lieta di maschere ... Noi siamo zingarelli ... di Madride noi siamo...
                                                              (La Traviata, Giuseppe Verdi)

sabato 24 maggio 2014

"DEH VIENI AL TEMPIO" (I PURITANI, BELLINI, 1835): QUANDO LA PAZZIA VUOL DIRE POESIA

Una delle opere (liriche) più statiche e noiose della storia del melodramma italiano, ma che ha attimi di assoluta poesia con la scena della pazzia di Elvira ("Deh vieni al tempio"), con "Casta diva" (Norma, 1831) tra le realizzazioni più alte dell'operista catanese. Geniale la trovata della pazzia. Non la solita pazzia riprodotta in canto "realisticamente" con urla e acuti sconnessi e disarmonici (vedi "Lucia di Lammermoore" Donizetti), ma la pazzia trasfigurata in una nenia triste ed elegiaca, una delle melodie "lunghe lunghe" belliniane, che pare non finire mai, come la ninna nanna cantata ad un bimbo che si ostina a non prendere sonno. Elvira-pazza e' ritratta come una bimba che gioca, si figura un mondo immaginario (il matrimonio con l'uomo che l'ha ripudiata). FANTASTICA INTUIZIONE LIRICO-DRAMMATURGICA: ASSOCIARE LA PAZZIA AL RITORNO ALL'INFANZIA.
Ascoltiamoci questa aria nella meravigliosa esecuzione di Mirella Freni.